Descrizione
La cornice del dossale, come di consuetudine per le opere tardo medievali, non si presenta come oggetto a se stante bensì, come parte integrante dell'opera, poichè ricavata nella stessa tavola di legno che fa da supporto al dipinto. Infatti, la parte destinata alle scene dipinte, desunte dagli episodi della vita di San Zanobi, è leggermente ribassata rispetto al perimetro alzato, corrispondente alla cornice. Questa si presenta su fondo oro, con due fasce parallele decorate con motivi geometrici. Domina un motivo decorativo rilevato: sono presenti delle borchie realizzate a pastiglia intervallate da una doppia cornice con un motivo geometrico a doppio racemo su fondo blu scuro con un rombo rosso al centro e con profilature bianche, molto usato dagli artisti del XIII secolo in numerose varianti.
Notizie storico critiche
La cornice, come emerge dalle indagini precedenti al restauro, fu l'ultimo elemento apposto al supporto, composta di vari pezzi, era sovrapposta al perimetro anteriore e lungo i fianchi, in modo da chiudere e proteggere lo spessore del supporto. La cornice, essendo in legno, venne "scavata" e cioè ricavata dallo spessore dell'asse in cui trovava sede anche il piano pittorico. In questo modo, la cornice finiva per svolgere un ruolo di controllo dei movimenti del tavolato, oltre alla chiara funzione ornamentale. Ne deriva dunque, che cornice e piano pittorico sono nati come unico oggetto. Ovviamente date le dimensioni ingenti del paliotto, è lecito pensare che la cornice da sola, non potesse contenere i movimenti del tavolato, ma che il supporto fosse munito di traverse. Il dipinto viene citato dal Richa (III, 1757, p. 108) come una "tavola di maniera greca" mentre Ricci (1896, p. 349) lo cataloga come di maniera bizantina. Sirèn (1922, pp. 112 e segg.) invece lo inserisce in un gruppo di dipinti sotto il nome del Barone Berlinghieri, ipotesi confutata dal Suida (1922, p. 322) che per primo riconobbe nell'opera la mano di un artista fiorentino, seguito dal Volbach (1924, pp. 231, 243). Van Marle (V, 1925, p. 418) vi vide un lontano rapporto con l'arte del Berlinghieri. Offner (1953, p. 26; 1966, p. 41) vi riconobbe la mano del Maestro del Bigallo, autore del crocifisso del Museo del Bigallo, delle Madonne del Conservatorio delle Montalve alla Quiete, della collezione Acton, del Museo di Nantes e della collezione Ham Pittsburg. Inoltre individuò il dipinto come primo esempio noto di figura di Santo affiancato da Santi in sottordine. Questa proposta fu accettata dalla Vavalà (1929, p. 716), dal Kaftal (1952, p. 1036 ) e dal Ragghianti (1955) per il quale il dossale, assieme alle pale delle Madonne di Nantes e Acton, e a quella del Museo Bandini a Fiesole, evidenzia una maturazione nello stile del Maestro del Bigallo. Cambiamento questo, che coincise con la fondazione della compagnia di San Zanobi nel 1244. Anche Garrison (1949, pp. 139, 141, n. 363) accettò l'attribuzione al Maestro del Bigallo ma ipotizzò l'intervento di aiuti. Il Toesca (I, 1927, p. 1039, n. 46; 1965, p. 1038, n. 46) lo citò a proposito della pittura fiorentina del Duecento: "tra altri dipinti, anteriori o estranei alla maniera di Cimabue". Hager (1962, pp. 91 e segg.) rilevò l'importanza iconografica di questo dossale con il Santo al centro e scenette laterali, quale esempio tra i più antichi conservati. Per dimensioni e formato lo studioso inoltre, suppose che poteva trattarsi di un altare-sarcofago. Poggi (Corpus, sez. III, vol. V, 1969, pp. 91, 210) riporta una deliberazione del settembre del 1379 dove si afferma di voler risistemare una tavola d'altare dedicata a S. Zanobi, probabilmente riferendosi a questo dipinto. Esistono anche documenti d'archivio, che indicano la vendita dell'opera. Al 24 ottobre del 1439 risale una proposta di vendita per sei fiorini, cui segue un pagamento di quattro lire. Il 13 novembre dello stesso anno, venne chiamato l'orafo Francesco di Niccolò per fare dei ritocchi al dipinto, danneggiato in seguito ad uno spostamento e infine il 24 dicembre del 1440 è documentato un pagamento di una lira a Piero Chellini pittore, per aver eseguito le stelle di stagno che dipinse sopra il dossale. Pare inoltre, come sostenuto da Mazza (ed. 1863, p. XXI; ma v. anche Poggi G., 1907, pp. 113 e segg.) che nel 1487 il dossale si trovava ancora nella Cappella di San Zanobi, luogo ove ora è collocata l'Ultima Cena di Giovanni Balducci. Nel 1786 il marchese Alfonso Taccoli Canacci comprò dalla Compagnia, per conto del duca di Parma Ferdinando di Borbone, il dossale, che nel 1865, dalla guardaroba granducale entrò nella Galleria di Parma. Da questa, mendiante un cambio con altre opere, le Gallerie di Firenze, su richiesta dell'Opera di Santa Maria del Fiore, poterono farlo tornare a Firenze nel 1928 (Sorrentino, 1928, pp. 135 e segg.) e lo depositarono fin da allora nel Museo. Non molto dopo fu donato alla Compagnia di San Zanobi, che aveva sede in una parte della Canonica di Santa Maria del Fiore: al 7 ottobre del 1491 troviamo infatti nei libri della Compagnia, una partita di pagamento a "maestro Lucha per parte de lattavola de l'olmo di San Zanobi cioè di ridipignierla e rachonciarla". La scritta, aggiunta in epoca successiva al di sotto della pittura e poi tolta in occasione dell'ultimo restauro viene riportata sia da Ciandella (Ciandella A., 2005) che da Richa. Inoltre sia Del Migliore (1964, p. 67) che Richa riportano una scritta che fu aggiunta in epoca più tarda al di sotto della pittura e che fu tolta in occasione dell'ultimo restauro:
"CUM DIVI ZENOBII CORPUS CONTINEBAT UR CONTACTU,
ARIDA ULMUS IN FRONDES FLORESQUE ERUPIT EX EAHANC EXTRUTAM T
ABULAM FLORENTINI CIVIES OB TANTI MIRACULI MEMORIAM VENERENTUR".
Relazione iconografico religiosa
Di una storia della cornice con ruolo autonomo si scoprono i primi segni nel XIII secolo, con la nascita dei pannelli dipinti del tardo medioevo, e con la sua assunzione a parte dell'arredo liturgico; originariamente tuttavia, non si trattava di un oggetto a sé stante, staccato dall'opera e intercambiabile come ce lo figuriamo oggi. Le cornici erano legate al quadro, come in questo caso particolare, perché venivano ricavate nella stessa tavola di legno che fa da supporto al dipinto: la parte destinata alla pittura si otteneva ribassando la superficie, così da formare un perimetro rialzato, utile al pittore anche come appoggio per non rovinare il quadro nell'atto di dipingere, la stessa funzione della bacchetta poggiamano. Tuttavia, l'importanza dell'opera nella sua totalità, deriva dal fatto che essa ritrae più episodi desunti dalla vita di San Zanobi, uno dei personaggi sacri più rilevanti per la città di Firenze. Divenuto vescovo della città, San Zanobi esercitò con abnegazione l’attività episcopale, evangelizzando completamente Firenze ed i dintorni. Venne ricordato da Paolino come il “vir sanctus” e più tardi riconosciuto come “Apostolo di Firenze”. Il Santo vescovo è quasi sempre raffigurato in gruppo, spesso con la Vergine e i Santi e poche sono le rappresentazioni isolate. Tra miti e leggende il personaggio di San Zanobi è, dunque, indissolubilmente legato alla storia delle origini di Firenze e con San Giovanni Battista, eponimo della diocesi e Santa Reparata, eponima della cattedrale, riveste a pieno titolo il ruolo di patrono della chiesa fiorentina.