Descrizione
La cantoria di Luca della Robbia è interamente in marmo bianco scolpito, modanato e, nelle cornici, inciso. La cantoria si presenta come un monumentale parallelepipedo sostenuto da mensole e scandito da tre cornici recanti inciso il Salmo 150: da leggersi a partire dall'alto della balaustra al basso. Le cinque mensole sono a voluta fogliata d'acanto e intervallano pannelli quadrangolari scolpiti in rilievo, illustranti gli imperativi del verso del salmo sottostante; da destra di chi guarda: una formella illustra un gruppo di bambini, vestiti con tuniche, con ghirlande tra i folti capelli ricchi, impegnati in un giorioso girotondo che li fa sorridere e cantare. La successiva mostra dei giovani appena più grandi di età, similmente vestiti, anch'essi gioiosamente impegnati nel canto, disporsi intorno a un compagno seduto e impegnat a suonare un organo portatile, mentre intorno a lui, un fanciullo suona un liuto e un terzo pizzica un'arpa. La successiva mostra gli stessi giovani, in piedi, suonare ridenti dei tamburelli; il centrale è nudo, e reca al collo un lungo festone. Infine, nell'ultima, giovani di varie età tra la fanciullezza e l'adolescenza, tutti impegnati a correre verso la loro destra suonando ciascuno un cimbalo. Al di sopra è la vera e propria cantoria estroflessa sulle mensole con quattro cassettoni. Essaè compresa tra due cornici con iscritti i versi del Salmo, ed è scandita in corrispondenza delle mensole stesse da coppie di paraste scanalate corinzie, le quali ritmano sei pannelli figurati, due minori ai lati, e quattro nella parte frontale. Da sinistra: la prima formella mostra un gruppo di giovani di divere età e altezza, impegnati a cantare quanto leggono su un tomo, tenuto dai più piccoli, rispetto ai quali si dispongono a scalare. Nella succesiva, sulla sinsitra alcuni giovani in tunica e calzari all antica, stanno di profilo e soffiano entro grandi trombe, sotto le quali alcuni bambini danzano. Nella successiva un gruppo di fanciulle, similmnte vestite, erette, suonano alcuni salteri, mentre ai loro piedi stnano seduti alcuni bambini piccoli, nudi, anch'essi impegnati a suonare e cantare. A fianco, ve n'è una simile, dove un giro di fanciulle suonano alcune cetre, e ai loro piedi, due infanti nudi, seduti, indicano verso l'alto e guardano in basso, come a mostrare qualcosa a chi osserva dal sotto. La successiva, tra le più belle, mostra alcuni adolescenti in tunica e calzari, sono impegnati a suonare tamburelli, producendo un ritmo che fa ballare alcuni bambini più piccoli, che stann loro intorno. L'ultima mostra alcuni fanciulli cantori, impegnati nel seguire il testo e lo spartito su un grosso rotolo tenuto aperto davanti a loro.
Notizie storico critiche
La Cantoria è ricordata per la sua mirabile bellezza in varie fonti antiche: nel Memoriale dell'Albertini (1510, ed. 1863, p. 10); nel Libro di Antonio Billi (ante 1530, ed. 1892, p. 45) e dall'Anonimo Magliabechiano (1537-1542, ed. 1892, p. 80), dove quest'ultime due si lamentano dell'altezza che ne impedisce un perfetto godimento. Abbiamo poi la fonte autorevole del Vasari, il quale lodò il naturalismo delle figure dei riquadri, già nella prima edizione, e poi ella seconda estese alla poesia la riflessione suscitatagli dal confronto tra quest'opera e la sua compagna donatelliana sui concetti di "bozza" e di "perfezione".
Non si possiede il contratto di allogazione della cantoria, ma il suo iter realizzativo è piuttosto chiaro da seguire attraverso altri indizi documentari pubblicati dal Poggi, quali la realizzazione dei beccatelli per l'installazione del pergamo nel 1438, fino alla nota di pagamento finale, del 28 agosto 1438, nella quale il saldo risulta essere di 872 fiorini e 8 soldi. Dai documenti superstiti si sa che tra il 1432 e il dicembre del 1433 furono assunti come aiuti al lavoro tali Caprino di Domenico i Giusto, Nanni di Miniato, detto del Fora e Checco di Andrea Fraschetta da settignano. Le misure di quasta cantoria e di quella di Donatello furono fornite da Brunelleschi e dal suo capomastro all'Opera Battista d'Antonio. Ad agosto del 1434 quattro rilievi erano già pronti, due più grandi e due minori; nell'anno successivo furono realizzati altri pannelli più grandi e di maggior costo, mentre nel 1438 vennero compiute le parti decorative minori, quali le cornici con le iscrizioni. Sovrintendenti ai lavori furono: Niccolò Alessandri, Matteo Strozzi e Giovanni Niccolini (dal 1432 al 1435) e infine Salvi Nerone Diotisalvi Nerone. La cantoria fu smontata in due tempi. La parte superiore, escluse le mensole e l'iscrizione inferiore, furono rimosse nel 1688, in occasione delle nozze tra il Gran Principe Ferdinando e Violante di Baviera, e su di esse fu montato un organo in legno intarsiato. Se la cantoria di Donatello fu dimenticata nei magazzini dell'opera e le sue colonnine disposte nel cortile, quella di Luca vide i rilievi figurati prima ricomposti in due pergami posti sotto i due archi laterali del coro, e in seguiti lasciati nella saletta della cereria dell'Opera. Le parti architettoniche furono oggetto di riuso per riparazioni e ne avvenne la dispersione graduale; benché il Richa (1757, p. 78) ricordi di aver visto le parti figurate tenute di conto ed esposte tra il meglio della scultura, e così Follini nel 1790 (p. 408). Marrai nel 1900 ricorda ancora questi marmi in un ambiente decoroso del Museo. Giovanni Alessandri, direttore delle gallerie e deputato sopra l'Opera di Santa Maria del Fiore fece portare i rilievi agli Uffizi, lasciando le parti architettoniche nei magazzini dell'Opera. Nel 1841 furono rimosse e sostituite da quelle nuove del Baccani anche le cantorie seicentesche, con quanto di superstite di quelle del Quattrocento. Quest'ultime, nel 1867, per iniziativa di de Fabris, furono quindi riunite con gli altri frammenti, che dagli Uffizi erano, nel frattempo, stati riportati al Museo Nazionale del Bargello, precisamente nel cortile. Nel 1870 anche le ultime parti architettoniche furono riunite. A seguito della scoperta da parte del Marcucci, di alcune pati della cimasa in una cappella sotterranea, si cominciò a pensare a un riassemblaggio delle cantorie (Galletti 1873, p. 8 e Burci 1875, p. 60), il quale avvenne nel 1891 a opera di Del Moro, pur non senza critiche (Reymond 1898), soprattutto per i problemi causati dalla mancanza della cimasa e delle colonnine, nonché di una errata interpretazione dell'elenco delle componenti architettoniche in un documento del 1438. Tale ricostruzione rimase fino al secondo dopoguerra, quando Castellucci, successore di Del Moro, rinvenì due pilastrini di marmo con capitello corninzio nella costolonatura della copertura del Battistero, e fu allora in grado di compiere un progetto di ricostruzone migliore del precedente, soprattutto riguardo gli intervalli delle coppie dei pilastrini stessi. Nel 1941, fu poi rinvenuto in una cantina di deposito per i marmi una porzione della cimasa con un frammento del Salmo 150, corrispondente al rilievo con le suonatrici di cetra, benché anche questo fosse stato scalpellato nella parte superiore, cosìcché, anche oggi, rimane ignota del tutto questa parte della cantoria. Ch l'ha ricostruita l'ha eseguita in due tratti separati, come possibili soluzioni decorative, una ispirata al Monumento Federighi, l'altra al ciborio di Santa Maria Nuova, entrambe opere di Luca. Vasari, nell'edizione del 1568 delle Vite ricorda poi come Luca avesse eseguito due figure di angeli nudi in metallo dorato come ornamento del cornicione; tali sculture sono ricordate anche dal Bocchi (1677, p. 59) e da Baldinucci (ed. 1768, III, p. 140). Il Poggi suppose fossero quelle in legno dorato opera di Baccio d'Agnolo, confondendosi con altre due statue dell'artista cinquecentesco poste a decorazione dell'organo vero e proprio. Le due sculture sono invece state identificate da Lanyi (1939, p. 213) e Planiscig (1948, p. 22 e 64) con i due putti del Jacquemart Andrè, benché successivamente, quelle stesse siano poi stati riferiti a Donatello (Gavoty 1966, p. 265) o a qualcuno del suo entourage (Seymour 1966, p. 265). Attualmente essi sono attribuiti a Donato, ma identificati con quelli visti da Vasari sulla cantoria di Luca, e due copie di queste sculture eseguite con tecnologia a scansione laser, sono ricollocate nel luogo che si crede d'origine. La critica della seconda metà del Novecento si è maggiormente concentrata su due aspetti: il primo è la definizione degli stili delle due cantorie, così divergenti e complentari, e i loro significati; il secondo è la cronologia di esecuzione dei rilievi. Pope Hennesy stabilì un ordine cronologico fondato su indizi documentari e stilistici: prima le due scene minori laterali, appena più impacciate; quindi le centrali del parapetto, e quindi le altre, nelle quali riconobbe l'influenza del Pulpito di Prato in una ricerca più accentuata del movimento. Per Del Bravo, il rilievo con i Suonatori di Tamburello e quello con le Suonatrici di Cetra erano i due rilievi “maiora”di cui parla il documento del 1434, sia perché realizzati con un rilievo più basso rispetto ai pannelli successivi, sia perché fanno capolino nella Madonna dell’Umiltà di Domenico di Bartolo, la quale è del 1433. Nelle Suonatrici di cetra Del Bravo riscontrava poi anche elementi tratti dall’Imposizione del Nome del Battista dell'Angelico (1428-1430), mentre nei giovani con tromba vide un'affinità con gli angeli tubicini dell' Incoronazione della Vergine del Louvre. Una cronologia differente la formulò la Lisner, ancora su base stilistica, per confronto con le opere di Luca successive, giacché, come la critica ha giustamente ribadito, la cantoria è la prima opera noto del maestro. Ma è opera di uno scultore trentenne, formato, ed è anzi forse la sua opera massima per complessità, il che pone numerosi interrogativi circa la sua formazione. Dalla cantoria si deduce che egli era ben istruito tanto sull'arte antica che su quella moderna dei suoi contemporanei fiorentini, quali Donatello, certo, ma anche Ghiberti e di Nanni di Banco. Si tende anzi ora a crederlo allievo di quest'ultimo, piuttosto che del Ghiberti delle Porte, come già era stato ipotizzato dal Baldinucci. L'ambito brunelleschiano è poi evidente nel nitore plastico delle cscorniciature, nelle semplici armonie architettoniche e nel ritmo sereno e certo delle membrature.
Relazione iconografico religiosa
La cantoria di Luca della Robbia nel corso del tempo ha conosciuto numerose letture iconografiche e iconologiche. Innanzitutto si dica che questa, come la sua compagna donatelliana, furono concepite come pendant, e che, pertanto, è impossibile dare leggettura di una escludendo l'altra e viceversa. Il dialogo tra le due cantorie è elaborato su affinità e differenze, di natura, in primordine, stilistica. La critica ha recente ha usato una felice definizione, benché anacronstica, di "apollineo" per lo stile di Luca e di "dionisiaco" per i marmi di Donatello. Ciò perché la cantoria di Donatello era collocata nella parete buia delle due, e da quella penombra dovevano emergere, ravvivate dai barbaglii dei candelieri, le figure della furibonda e gioisa corsa degli angeli, abbozzate nel marmo, e risparmiate in un mare di tessere di pasta vitra dorata; e similmente lo stesso effetto dovevano fare le due teste di vecchiardi, dorate, emergenti in basso dal buio dei loro clipei. Il risultato estetico era di una classicità ormai tardo antica, eclettica e prossima a infrangere i modelli greco antichi, contaminata da influenze paleocristiane e bizantine, e come sconvolta dall'interno dalla rivelazione cristiana. Da un punto di vista architettonico, però, Donatello ha stabilito per la sua opera misure ancora perfettamente armoniche, proporzionate, e fedeli ai dettami dell'antico. Così pure questa di Luca, la cui eleganza archiettonica è certo erede del Brunelleschi riscopritore della geometria greco-romana. Ma diversamente da Donatello, Luca raggela la sua cantoria nel bianco continuo del marmo, che viene accentuato dalla luce proveniente dalla finestra opposta, e dal quale emergono figure di bellezza decorosa, di incorruttibile eleganza e di nobile quiete, benché, dobbiamo immaginare, nelle ore buie anch'esse vivificate e indorate un tempo dalle torce e dalle candele. Ancora, la dimensione di invasamento degli spiriti festanti di Donatello cede il posto in Luca a figure umane, ma qasi angelicate, nelle perfette proporzioni e forme, nonché nella levigatezza e nella luminosità delle superfici. Alla concitazione e all'eclettismo sperimentale di Donato, poi, Luca preferisce la varietà albertiana e ciceroniana e immagina questi giovani secondo una molteplicità di pose, azioni, espressioni ed età (vanno dall'infaniza alla tarda adolescenza). Appare a tal proposito convincente la correlazione proposta dal Mode tra i tipi di adolescenti che si riscontrano nei pannelli di Luca e i giovani, che a quel tempo si raccoglievano in particolari confraternite impegnate nel canto sacro, quali ce li descrive in una lettera al pontefice Eugenio IV, (Latinae epistolae ed L. Mehus, 1759, II col. 40 e II col. 136) Ambrogio Traversari, generale dell’ordine camaldolese dal 1431 al 1439 e teologo di primo piano nella questione del Concilio di Firenze, che si svolse proprio sotto a questi pergami. Parrebbe riprovarlo la notizia che i giovani di queste compagnie indossavano le medesime tuniche immaginate da Luca, per rispondere a un editto emanato da papa Eugenio IV, nel 1442, dove si prescriveva di indossare tale abbigliamento nelle pubbliche processioni. Per di più, in quegli anni ci furono importanti sviluppi in cattedrale relativamente alla musica sacra, legati a una riforma della scuola del coro, promossa da Papa Eugenio nel 1435, con una bolla, e con una donazione di 4000 fiorini, cui aprtecipò anche l'Arte della Lana. In questi anni avvenne anche l'introduzione del canto polifonico correlatamente all'arrivo di Guillame Dufay a Firenze nel giugno del 1435 e alla nomina di Antonio Squarcialupi come organista del Duomo nel febbraio del 1436. Se dunque la cantoria di Donatello dava forma a creature intellegibili e immateriali (gli angeli), qui i riquadri rimandano a fatti del presente storico, i cui protagonisti sono uomini reali e di una bellezza, che è immagine della loro pietà e della loro purezza spirituale, (taluni hanno anche proposto di riconoscervi ritratti reali). Affrontando in relazione tra loro la lettura delle due cantorie Del Bravo, nel 1981 (1981, pp. 57-72), ripreso dal Borman nel 2013, propose che a fondamento della loro costruzione iconologica ci fossero il Brunelleschi e i suoi interessi per il platonismo e la teoria musicale pitagorica. Secondo tale interpretazione i due pergami sarebbero concettualmente complementari: quello di Donato, con le due file di spiritelli, vorrebbe dar immagine al sovrapporsi e al succedersi dei suoni che danno vita alla melodia, mentre quello di Luca, elaborato con fedeltà alla pagina del Salmo 150, rappresenterebbe l'altro elemento costitutivo della musica, ossia l'ordine armonico. Ritornando però alla questione delle differenze d'immaginazione e stilistiche, dionisiache e apollinee, si può riflettere sul significato della musica sacra come medium tra l'uomo e il divino. Da questo punto di vista la cantoria di Donatello, con le sue figure indiate e invasate, potrebbe significare il Divino che penetra nell'uomo per mezzo della musica e lo eleva con un ratto amoroso, ovvero il "furor" neoplatonico cristiano; l'altra di Luca considererebbe invece la musica sacra dal punto di vista 'Umano", come lode che l'uomo tributa a Dio, ma che può essere gradita solo se espressione di anime pie e pure come quelle dei giovani patrizi fiorentini, nelle loro tuniche, candide come il marmo.