Oggetto e soggetto
Definizione
Vetrata
Denominazione/dedicazione
Santi
Soggetti
- San Michele arcangelo
- San Paolo
- Santo Stefano
- San Gregorio Magno
- Santa Lucia
- Santa Elisabetta d' Ungheria
Cronologia
Secolo
XIV
Da
1395 post
A
1396 ca.
Motivazione cronologica
Bibliografia
Autore
Gaddi Agnolo; Leonardo di Simone
Localizzazione geografica amministrativa
Denominazione
Cattedrale di Santa Maria del Fiore
Complesso monumentale di appartenenza
Complesso monumentale di Santa Maria del Fiore
Luogo
navata sinistra
Posizione
terza campata
Rapporto
Stadio opera
Opera finale
Dati analitici
Iscrizioni
- latino
- a pennello
- caratteri gotici
- sotto il Santo
- Leonardo di Simone
- SANTUS MICAEL
- latino
- a pennello
- caratteri gotici
- sotto il Santo
- Leonardo di Simone
- SANTUS PAULUS
- latino
- a pennello
- caratteri gotici
- sotto il Santo
- Leonardo di Simone
- S.STEFANUS
- latino
- a pennello
- caratteri gotici
- sotto il Santo
- Leonardo di Simone
- SCS GREGORIO
Identificativi
Tipo di identificativo
Catalogo generale
Numero di identificativo di soprintendenza
09/00188100
Data di identificativo di soprintendenza
1983
Fonti e documenti di riferimento
Bibliografia
- Semper H.
- Die farbigen glasscheiben in Dom von Florenz
- 1872
- pp. 20- 21
- Westlake N. H. J.
- A history of design in painted glass
- 1881-1894
- III, p. 137
- Poggi G.
- Il Duomo di di Firenze: documenti sulla decorazione della chiesa e del campanile, tratti dall’Archivio dell’Opera
- 1909
- p. LXXX, doc. 457-459, 465-467, 470-471, 484-485, 488, 491, 493-505
- Sherrill C. H.
- A stained glass tour in Italy
- 1913
- p. 87
- Crispolti V.
- Il Duomo di Firenze S. Maria del Fiore
- 1938
- pp. 51-52
- Straelen H. van
- Studien zur florentiner Glasmalerei des Trecento und Quattrocento
- 1938
- pp. 51-52
- Toesca P.
- Il Trecento, in Storia dell'arte classica e italiana
- 1951
- p. 872
- Paatz W./ Paatz E.
- Die Kirchen von Florenz: ein kunstgeschichtliches Handbuch
- 1940-1954
- III, pp. 385, 545 nota 428
- Marchini G.
- Le vetrate italiane
- 1956
- p. 220 nota 11, p. 228 nota 49
- Ragghianti C. L.
- Filippino Lippi a Lucca: l'altare Magrini nuovi problemi e nuove soluzioni, in "Critica d'arte"
- 1960
- VII, P. 52
- Marchini G. (a cura di AA. VV.)
- Le vetrate, in Civiltà delle arti minori in Toscana
- 1973
- pp. 80-81
- Boskovits M.
- Pittura fiorentina alla vigilia del Rinascimento: 1370-1400
- 1975
- p. 297
- Pezzella S.
- Il trattato di Antonio da Pisa sulla fabbricazione delle vetrate artistiche (secolo XIV), in "Antiqua"
- 1976
- pp. 9-11
- Bacci M.
- Lorenzo Ghiberti, materia e ragionamenti
- 1978
- p. 242
- Acidini Luchinat C. (a cura di Eadem)
- Le vetrate, in La Cattedrale di Santa Maria del Fiore a Firenze vol. 2
- 1995
- pp. 273-301
Relazioni
Descrizione
Nella parte superiore della vetrata, la prima a sinistra della facciata, con arco a sesto acuto, compaiono i Santi Michele Arcangelo e Paolo; il primo, in corta veste rossa, regge un grande scudo bianco crociato di rosso e la lancia con cui trafigge il drago contorto ai suoi piedi. L'apostolo ha un libro nella mano sinistra, una spada sollevata nella destra e porta un ampio mantello rosso foderato di azzurro sopra la veste verde. Al centro sono raffigurati Santo Stefano e San Gregorio Magno, il protomartire che regge un libro ed un'asta, indossa un mantello giallastro dall'ampio panneggio foderato di azzurro e bordato in verde sopra la veste rossa con applicazioni verdi. Gregorio, con un libro aperto nella mano sinistra e la destra sollevata in atto benedicente porta la mitria ed un manto verde su una veste rossa entrambe dorati da ampie bordure gialle. Nella parte inferiore della vetrata sono rappresentate due figure femminili; la prima coronata, Santa Elisabetta d'Ungheria, regge con la mano sinistra i lembi del manto rosso bordato di giallo sopra una veste verde ed ha nella destra una sorta di esile scettro. L'altra, Santa Lucia, che è vestita di verde con manto azzurro e velo bianco, tiene in mano un piccolo oggetto e la palma del martirio. I sei personaggi sono tutti raffigurati frontalmente, e sono collocati su basamento poligonale entro alti e complessi tabernacoli con archi polilobati, timpani decorati da un piccolo rosone e cupolette cuspidate sorretti da colonnine tortili. I due gruppi verticali dei Santi sono delineati da uguali bordure in cui si alternano cherubini rossi ed azzurri e culminanti in archi acuti trilobati sopra i quali è visibile, alla sommità della vetrata, un rosone con l' immagine dell'agnello. Al margine esterno vi è una bordura con gigli gialli su fondo azzurro.
Notizie storico critiche
A seguito della modifica del progetto arnolfiano furono accecate le otto finestre già presenti nel corpo basilicale e furono aperte quattro finestre monofore – due per ogni navata laterale – per le quali fornì i disegni Agnolo Gaddi. Probabilmente l’opera fu commissionata in un primo tempo a Niccolò di Piero Tedesco che, dall’agosto all’ottobre 1394, ricevette vari acconti per le vetrate allogategli ed agli inizi del 1395 fu più volte sollecitato per il compimento di essa. Il vetraio, tuttavia, disattese i suoi impegni, per cui la seconda finestra della navata sinistra venne eseguita da Antonio da Pisa, nel dicembre 1395; mentre la prima (l’opera in esame) fu allogata a Leonardo di Simone il 6 maggio 1395. Quest' ultimo, monaco vallombrosano (che aveva già terminato la seconda finestra della navata destra e stava per ultimare la prima) riceveva vari acconti nei mesi successivi ed il primo di aprile del 1396 la vetrata risulta finita e posta in loco. Agnolo Gaddi e Neri d’Antonio dipinsero lo sguancio della finestra e molto probabilmente il Gaddi diede il cartone anche di quest’ultima vetrata (il pittore ricevette un ulteriore pagamento del mese di giugno, riferibile forse non all’affresco dello sguancio, ma al disegno della vetrata). Piccoli interventi di restauro sono documentati fin dagli inizi del 1400; nell’agosto 1406 si deliberava di risarcire le finestre del fianco sinistro ed il lavoro fu affidato a Niccolò di Piero che vi attese fino al 1415; altri restauri alle “finestre della chiesa ch’erano rotte” fecero Francesco di Giovanni e Bernardo di Francesco tra il 1418 ed il 1429. Le quattro vetrate delle navi sono state soggetto di scarsa attenzione da parte della critica che in genere si è limitata ad un breve giudizio complessivo su di esse. Fu il Poggi, nel 1909, il primo studioso ad occuparsi separatamente di tutte le vetrate della cattedrale fiorentina con la pubblicazione dei documenti ad esse relativi, da lui ordinati e riassunti in brevi commenti su ogni singola opera, dove però non tratta della probabile committenza iniziale a Niccolò di Piero Tedesco. Il Crispolti si limitò a riprendere il Poggi, aggiungendo solo un giudizio negativo sulla disposizione delle tinte. Un’analisi più approfondita che tenesse conto dei dati stilistici e tecnici, come pure delle personalità dei diversi maestri vetrai, fu tentata da H. Van Straelen. La studiosa riteneva, che fosse stata la nostra vetrata e non la seconda della navata destra ad esser allogata a Leonardo di Simone già nel gennaio 1394, insieme alla prima della navata sinistra. Essa, affermava inoltre, che lo stile delle figure dimostrava che tutte e quattro le vetrate fossero state disegnate da Agnolo di Gaddi, sebbene in questo caso manchi il preciso riferimento documentario, lodando inoltre la rappresentazione del S.Michele, sia per la forza compositiva che per l’intensità dei colori. Abbastanza negativo e sommario il breve giudizio del Toesca secondo il quale i disegni di Agnolo forse non furono ben tradotti dai maestri vetrai che “sparsero sulle figure fiorami e ornati così vivi di colore e tanto monotoni che tutto ne riesce confuso”. Un riepilogo dei problemi attributivi e documentari ed una nuova ed attenta lettura delle iscrizioni si devono a Marchini; in particolare lo studioso nota in queste vetrate un colorito più freddo rispetto a quello delle due finestre di destra (entrambe di Leonardo) benché egualmente pesante, e ciò potrebbe far pensare ad un’influenza di Niccolò di Piero Tedesco cui in primo tempo l’opera era stata allogata. Marchini rileva inoltre, in tutte le vetrate, l’evidenza del disegno agnolesco “accuratissimo e fine” e la comparsa, per la prima volta in vetrate italiane, degli altri e complessi baldacchini “già d’uso corrente nelle vetrate nordiche e nella pittura coeva d’affresco nostrana” ideati certo da Agnolo Gaddi.
Relazione iconografico religiosa
Nel terzo e quarto valico delle navate sono presenti quattro finestre monofore – due per ogni navata laterale. Ogni finestra delle navate è divisa lungo la mezzeria come in due ante, e ciascuna anta in tre settori, per un totale di sei scomparti: all’interno di essi sono raffigurati sei santi, entro tempietti a tabernacolo. Nella presente vetrata sono raffigurati San Michele arcangelo, San Paolo, Santo Stefano, San Gregorio Magno, Santa Lucia, Santa Elisabetta d’Ungheria. Michele arcangelo, difensore del popolo ebraico (Daniele, 10, 13-21), fu adottato dalla Chiesa come santo protettore del cristiano militante. Le sue origini risalgono probabilmente alla religione dell’antica Persia, il cui pantheon era fondato sulla contrapposizione dei principi del bene e del male, della luce e delle tenebre. Le divinità positive, alle quali era associato Michele, erano in perenne conflitto con le divinità del male. Egli indossa una cotta di maglia ed è armato di uno scudo, e di una spada o di una lancia, di entrambe. Come quasi tutti gli angeli ha le ali, elemento che lo distingue da San Giorgio, anch’esso uccisore di un drago. Satana, rappresentato sia con sembianze semiumane sia come drago, giace sotto i piedi del santo che sta per ucciderlo. San Michele è anche rappresentato nell’atto di pesare le anime dei morti (psicostasia), per stabilire la loro giusta ricompensa. Questo elemento presenta equivalenti nella religione greca ed egizia. Nell’iconografia cristiana, san Michele è ritratto normalmente con in mano una bilancia che ha su ciascun piatto un’anima, rappresentata come una minuscola figurina umana ignuda. Paolo non fu del gruppo originario dei dodici. Si dedicò soprattutto alla conversione dei gentili. Nato a Tarso, in Asia Minore, attorno al 10 d.C., era giudeo di nascita ma ereditò dal padre la cittadinanza romana, un fatto a volte rilevante ai fini della sua iconografia. È citato per la prima volta nel Nuovo Testamento come uno di quelli che erano presenti alla lapidazione di Stefano. Negli antichi documenti è descritto come un uomo basso, calvo e di aspetto tutt’altro che bello. Gli artisti rinascimentali, seguendo l’esempio di quelli del Medioevo, lo raffigurarono per lo più con queste caratteristiche, con in più una barba scura. Nel Seicento e in epoca successiva si conforma talvolta alla tipologia del patriarca: è alto, ha la barba bianca e lunghi capelli. I suoi comuni attributi sono: la spada, con la quale fu martirizzato e, come autore delle Epistole, il libro o il cartiglio. Come figura devozionale, si accompagna spesso a San Pietro apostolo, eventualmente entro immagini con la Vergine in trono, dove i due santi compaiono come i fondatori della Chiesa, San Pietro come simbolo della componente ebraica, San Paolo di quella pagana. Negli Atti si legge che gli apostoli, per essere più liberi nella loro attività di predicazione, elessero sette diaconi perché si occupassero dell’assistenza. L’elenco dei sette eletti si apre nel nome di Stefano. “Ricco di grazia e di poteri taumaturgici, andava compiendo miracoli grandi in mezzo al popolo”. Lo portarono, con false accuse, davanti al Sinedrio e “tutti i membri del Sinedrio, fissandolo intensamente, videro che il suo volto era come quello di un angelo”. Stefano pronuncia un grande discorso, rifacendosi a tutta la storia della salvezza e concludendo con parole di fuoco: “O teste cocciute, o pagani nel cuore e negli orecchi, voi fate resistenza allo Spirito Santo …”. Aveva segnato la sua condanna a morte. Ma egli concluse: “Ecco, vedo aprirsi i cieli e il Figlio dell’Uomo sedere alla destra di Dio”. Si scagliarono con furore su di lui, lo portarono fuori di Gerusalemme e lo lapidarono. Egli divenne così il primo (proto) martire del cristianesimo. (L’anno è con ogni probabilità il 33 d.C.). La tradizione riferisce che, per una prodigiosa rivelazione, le sue reliquie furono scoperte e trasportate a Costantinopoli (475) e di qui, sottratte furtivamente, portate a Venezia nel 1110 e deposte nella chiesa di S. Giorgio Maggiore. Questa è leggenda, ma certo è invece un piccolo particolare ricordato negli Atti. Coloro che si accingevano a scagliare le pietre diedero i loro mantelli da custodire a un giovane anche lui inneggiante alla lapidazione di Stefano. Il nome di quel giovinetto era Saulo. Non sarebbe passato troppo tempo che questo Saulo (o Paolo) avrebbe incontrato anche lui il Figlio dell’Uomo sulla strada di Damasco. Gregorio Magno è uno dei quattro Padri della Chiesa occidentale. Come pontefice dimostrò doti eccellenti nel governare; tra l’altro istituì le forme ufficiali della liturgia romana e del canto liturgico (canto gregoriano). Sancì l’obbligo del celibato per il clero e contribuì a cristianizzare l’Inghilterra inviandovi alcuni missionari sotto la guida di Sant’Agostino di Canterbury. È per lo più raffigurato in veste da pontefice con la tiara e la triplice croce pastorale; è alto, sbarbato e ha i capelli scuri. Il suo più comune attributo è la colomba dello Spirito Santo appollaiata sopra la spalla o librata in aria presso il suo capo o il suo orecchio, allusione all’ispirazione divina dei suoi scritti. La colomba può suscitare lo stupore del segretario di Gregorio che fa capolino da una tenda. Nell immagini devozionali, Gregorio spesso si accompagna agli altri Padri della Chiesa: Ambrogio, Agostino e Gerolamo. Durante la Controriforma la sua figura fu spesso accostata, nell’iconografia, alle anime del purgatorio. Lucia, vergine martire di Siracusa, morì verso il 304 durante la persecuzione di Diocleziano. Pur essendo una figura storica, la sua iconografia si basa soprattutto su leggende. In seguito alla guarigione miracolosa di sua madre al santuario di Sant’Agata – episodio rappresentato dagli artisti del Rinascimento – Lucia volle distribuire i propri beni ai poveri, in segno di gratitudine. Questo gesto sconvolse a tal punto il suo promesso sposo, che egli la denunciò come cristiana al giudice Pascasio. Poiché rifiutava di abiurare, Lucia fu legata a un tiro di buoi per essere trascinata in un bordello, ma ella era così salda che gli animali non furono in grado di smuoverla. Sopravvisse ad altre torture: fu bruciata, le colarono piombo fuso nelle orecchie, le estirparono i denti, le recisero le mammelle, la immersero in olio, pece e persino urina bollenti. Alla fine la uccisero tagliandole la gola. Lucia è raffigurata con in mano la palma del martirio; a volte ha un pugnale confitto nel collo. Il bue che figura sotto i suoi piedi si riferisce al suo martirio. Suoi attributi caratteristici sono la lanterna accesa e due (o più) occhi sopra un piatto oppure sull’estremità di uno stelo che ella regge come un fiore. In origine gli occhi e la lampada le furono attribuiti semplicemente a causa della connessione del suo nome con la luce. In seguito nacque una leggenda eziologica secondo la quale essa, esasperata per le incessanti lodi per la bellezza dei suoi occhi da parte del suo promesso sposo, se lo cavò e glieli fece recapitare. Lucia è invocata contro le malattie degli occhi. Elisabetta d’Ungheria fu una principessa della dinastia ungherese degli Arpad. All’età di quattordici anni andò sposa a Ludovico IV, langravio di Turingia, che sei anni dopo morì. Elisabetta entrò allora nell’ordine francescano e dedicò i suoi ultimi anni di vita ai malati e ai bisognosi della città di Marburgo, dove morì. Il culto di questa santa fu popolare soprattutto in Germania e la sua immagine è frequente soprattutto nell’arte nordeuropea. Per i francescani ella è il simbolo della carità femminile; compare nei dipinti eseguiti dai pittori italiani per quest’ordine monastico. Indossa l’abito delle terziarie francescane; a volte ha il capo ornato di una corona, indice della sua condizione regale; la corona può essere triplice, forse in allusione ai suoi tre stati di vergine, sposa e vedova. In alternativa Elisabetta può invece vestire ricche vesti principesche, con un manto foderato di pelliccia. Il modello di una chiesa che regge in una mano si riferisce alla città di Marburgo. Le rose, per lo più raffigurate in grembo alla santa, sono il suo attributo più frequente. Narra la leggenda che un giorno il marito la incontrò in strada mentre si recava a fare la carità ai poveri: nel grembiule portava dei pani, ma quando egli lo aprì per vedere cosa contenesse vi trovò delle rose. Elisabetta è raffigurata mentre assiste i malati, soprattutto quelli afflitti da lebbra o da altre malattie cutanee. Secondo un’altra leggenda che riguarda le sue opere di carità, occasionalmente raffigurata nell’arte rinascimentale tedesca, la santa accolse nel proprio letto un fanciullo lebbroso. Il marito, rientrato a casa, strappò con rabbia le coperte dal letto: il fanciullo aveva assunto le sembianze del Bambino Gesù. Nelle immagini devozionali Elisabetta è circondata da mendicanti e storpi che attendono di essere assistiti.
Dati tecnici
Materiali
vetro
Tecnica
piombatura, pittura
Misure
- Altezza: 900 cm; Larghezza: 190 cm;
Restauri
Restauro
- Data: 1950
- Nome operatore: Ditta Tolleri